Un racconto di Silvio Giordano tra visual novel, direzioni artistiche di festival internazionali e esigenze poetiche per la definizione del New Digital Humanism. Sarà ospite dell’evento “Una Notte al Museo“, Venerdì 1 Marzo a Miglionico (scopri di più sul programma iscriviti qui).
Silvio, tu sei un visual artist e creative director. Oltre a lavorare per musei, fondazione e istituzioni, porti in giro nelle università un concetto: new digital humanism. In che cosa consiste?
Consiste nel riportare tematiche umaniste e pensieri che possano creare una criticità nell’altro. Sviluppare temi esistenziali profondi. Non è più il tempo di creare solo estetica e sviluppare le nuove tecnologie: è creare contenuti forti. Mi piace pensare che la prima Intelligenza artificiale sia stata scritta e concepita da Mary Shelley nel suo Frankenstein. Un esperimento sintetico di un corpo che torna in vita tramite scosse elettriche. Un uomo artificiale, quindi, un non-uomo. Un “mostro” creato da noi mostri. Dotato di una sua sensibilità. Noi vestiamo i panni del Dottor. Frankestein e cerchiamo nuove strade per il futuro. Io, ad esempio, assemblo nei prompt di AI le frasi che leggo sui giornali e nei social che riguardano le nevrosi della società. Violenza, corpi di silicone, vanità, potere, ossessione per il lavoro e il capitalismo. Escono fuori dei mostri come quelli del Dottor Frankenstein, il nuovo Prometeo. Il mio prossimo progetto personale sarà realizzato per la Fondazione Videoinsight di Torino sul tema del fantasma. Siamo tutti fantasmi di noi stessi. La proiezione che rimandiamo di noi è quella di uno spettro che vaga cercando un senso nella vita.
Quanto hanno influito le tue radici, lucane e potentine, nelle tue Produzioni?
Dalla pandemia in poi è tutto cambiato, nel mondo. Ogni essere umano è trafitto dal miraggio di cercare un posto dove vivere felice. Ma la pressione fiscale, i conflitti bellici, le diffuse nevrosi sembra abbiano portato tutto ad “utilitarismo negativo” cioè provare a ridurre al minimo la sofferenza rispetto alla massimizzazione della felicità.
In questo contesto, il mio territorio, la Basilicata ha un ruolo mistico. Felicità e sofferenza sono ancora contese. Lucania, Lucus, come terra di boschi. Sotto questi boschi c’è anche il petrolio. E tutte le multinazionali ne vanno alla ricerca come una violenta caccia alla Balena per estrarne l’olio ed accendere la luce del mondo. Una logica del saccheggio, del prelievo e di conseguenza dell’emigrazione. Poeticamente un terreno fertile dove il divino e il diabolico si incontrano. Lucania, terra di Luce. Ma la luce è anche in colui che porta il nome Lucifero. La cinematografia ha provato a raccontarla con Pasolini, con Mel Gibson, ma anche con Il Demonio di Brunello Rondi, o con i riti magici religiosi di De Martino. Qui vivono forti i riti arborei dove avvengono matrimoni tra gli alberi, dove la foresta vetusta è patrimonio UNESCO, dove le figure antropologiche del Carnevale sono diavoli, eremiti verdi e creature trascendenti, ultraterrene. Per me è una terra dell’immaginario, è il mitico, ispirazione mentale. Potenza la città dove vivo, ribattezzata da me Gotham city e lo specchio oscuro di me stesso. Mi mette sempre davanti alla fine, in un continuo studio di psicotanatologia. Una città dal perenne clima gelido invernale dove trovo una sublimazione. Scavo nell’abisso di un luogo abbondato a se stesso e dalle rovine e ci trovo umanità. Ci trovo delle persone che ancora non sono del tutto affette dal fantasma del successo, del bussines, dell’egomania e dal delirio narcisistico. Detesto tutto questo autoinganno delle grandi città. Citando proprio una frase di Elisabeth Kubler Ross, “le persone più belle che ho incontrato sono quelle che hanno conosciuto la sconfitta, la sofferenza, la lotta, la perdita e hanno trovato il loro modo di risalire dalle profondità”.
Quando hai capito di non essere più Silvio e di esser diventato Silvio “Silver” Giordano?
Silver è solo il soprannome di quando dipingevo come writer. Avevamo una crew: la 2bk ci ha salvato dalla strada l’hip hop. Erano i tempi dei sanguemisto. Ma se volevate chiedermi quando sono diventato artista libero allora posso rispondervi quando ho mollato la presa sul sistema. La relazione tra me e l’arte era dopata dall’approvazione del sistema. Seguivo le logiche curatoriali, di fiere, di gallerie. Ero dentro un sistema. Vincevo pure tanti premi di videoarte ed ho fatto mostre con tutti i critici dai maistream a quelli meno noti. Poi ho capito che era tutto limitato. Non c’era una evoluzione. I critici urlano al miracolo solo se fa parte del loro circolo. E’ un fatto economico. Spesso si auto-proteggono per non estinguersi. Che, per carità, va bene per loro. Ma io voglio fare di più. Contaminarmi con tutti i linguaggi e non farmi vidimare il lavoro da nessuno se non da me stesso. Ho scelto di fare solo ciò che mi piace fare. Il tempo della vita è troppo breve per avvitamenti. Da tempo posso lavorare per musei di archeologia, con le Fondazioni, con i grandi player della gamification, posso realizzare una graphic novel come posso fare un festival di cinema e posso usare anche l’intelligenza artificiale nella maniera più audace possibile. Per me conta l’idea e come imponi la tua idea nel mondo. Sono spesso invitato nelle università italiane per divulgare un concetto denominato New Digital Humanism: come risvegliare il nuovo umanesimo tramite idee visuali tra intelligenza artificiale, game Engine culture e Transmedialità?
Come immagini il futuro dell’Arte Figurativa, in senso lato, e come immagini il futuro della tua Arte in particolare?
C’è una specie di ottimismo catastrofico nei miei lavori. Credo che parta da lontano. In Basilicata, negli anni ’80, un terremoto distrusse tutto. Io festeggiai il compleanno di 3 anni in una tenda per terremotati. Vivevamo lì con tante famiglie. Emblematico fu l’articolo di un giornalista che scrisse FATE PRESTO. La scritta fu poi utilizzata da Handy Wharol per farne un’opera catastrofista. In quella tenda eravamo una marea di bambini con un unico televisore che proiettava solo cartoni giapponesi, Go Nagai e i suoi cyborg pop, le violenze sublimi e gli orfani di Tana delle Tigri, il gender fluid di Lady Oscar ecc. Tutto quell’immaginario di trasformazioni corporee di Tsukamoto mi hanno plasmato e portato a seguire la cultura orientale. Immagini potenti ed immediate. La paura che provavo in quella tenda era la mia Hiroshima. Poi hi ritrovato la stessa forza negli artisti inglesi della Young British Generation e alcune nell’azionismo viennese come Gottfried Helnwein. In Italia la persona che mi ha seguito è stata Robert Gligorov. Anche lui impattante e simbolico come gli artisti citati. Mi lasciò vivere nel suo studio a Milano per più di un anno, dove c’erano tutte le sue moleskine, con tutte le sue idee. Potevo aprirle e studiare. Ero tornato bambino come in quella tenda che ho raccontato. Ora, ho anche la fortuna di dirigere il Matera film festival con un team incredibile di amici, dove mi relaziono con giganti come David Cronenberg, Terry Gilliam e Peter Greenaway. Anche loro maestri della transmedialità e della condanna ad una società disumanizzata.
Pensi che l’Intelligenza Artificiale debba essere un mezzo per che cosa?
L’essere umano sta fallendo su più fronti: ambiente, razzismo, guerre, genocidi, maltrattamento animale, per esempio. Molti pensano che poiché non è più in grado di gestire la sua incapacità di stare al mondo, subentrerà facilmente l’intelligenza artificiale a sostituirci. Intelligenza fredda e incapace di errori. Una ipotesi valida, ma anche disfattista e nichilista. Io uso l’intelligenza artificiale perchè ormai ho dimostrato tutto con l’arte digitale. Direi che realizzo opere da quando ho 14 anni ed esisteva solo il Corel draw. Ma ora, scrivendo dei prompt e dandogli dei link direttamente a miei lavori evito tutta la trafila di usare photoshop e altri programmi simili. Mi interessa sviluppare le mie idee, non dimostrare di saper fare.
Hai realizzato l’istallazione immersiva Giuliana degli Abissi per il Museo Nazionale di Matera. E’ un lavoro profondo. Parlaci del contenuto del lavoro.
Ringrazio sempre la direttrice Annamaria Mauro per avermi dato questa possibilità: la videoinstallazione “Giuliana degli abissi” rappresenta una grande opera di videoarte dal tema esistenziale e poetico. Un progetto audiovideo di 9 minuti che incrocia la più alta tecnologia digitale e i diversi linguaggi della visual art, come animazione 3D, illustrazioni pittoriche e riprese reali.
La balena Giuliana, ricostruita digitalmente, torna a muoversi e solcare il mare, lo spazio profondo, portando con sé la rappresentazione del simbolo che è diventato nell’immaginario comune: una creatura di confine che ha da sempre incuriosito studiosi, profani, marinai. In questa videoinstallazione immersiva, dove il suono e le musiche hanno un aspetto molto importante, lo spettatore è calato in una dimensione acquatica dove i pensieri sono amplificati e la voce del narratore ci racconta la genesi della vita marina fino alla caccia violenta alla balena. Mentre lo fa, ci pone continue domande: qual è il legame che le balene hanno con il cosmo? cosa si nasconde in questo nostro desiderio di recuperare il passato e le dimensioni diverse dell’essere vivo?
Il Narratore quindi, mentre ci fa vedere dall’alto le sponde della Diga di San Giuliano e poi ci sprofonda negli abissi ad osservare le creature marine, ci invita ad una continua riflessione. Ci ricorda come in tutta la letteratura, da Moby Dick a Giona della Bibbia, la balena diventa una tappa verso la salvezza recando con sé la possibilità del rinnovamento. Perché la balena per gli esseri umani rappresenta un passaggio, un luogo dove si muore e si rinasce, dove si guarda in faccia se stessi, ci si conosce, si cambia e si risorge. Una dimensione intimista che si può provare solo recandosi nel museo nazionale di Matera, immergendosi negli abissi digitali e colorati della videoinstallazione, perché come direbbe Melville: “Come tutti sanno, meditazione e acqua si sposano per sempre”.
Prevedi che in futuro possano esserci altre collaborazioni con tuo fratello Giulio, artista di punta nel Mondo dell’Illustrazione?
Mio fratello va spedito con la Sergio Bonelli Editore. Lo vedo disegnare Martine Mystere ed altri progetti di cui non posso parlare. La collaborazione con mio fratello è sempre attiva. Ci scambiamo idee e soluzioni e spesso realizziamo nuovi progetti insieme. Delle volte invece ci piace solo osservare cosa fa l’altro e goderne l’operato.